Instancabile come sempre, il giovane inserviente del lido sgobbava senza sosta avvolto in quella sua canotta larga e rossa tutta sbiadita da sole, e da un misto di salsedine e sudore che lo faceva sembrare fradicio come i bagnanti. Di giorno potevi osservare quei suoi capelli ricci e ribelli di un castano scuro spuntare dietro file di sdraio e ombrelloni sempre troppo grossi per lui ma che sollevava con una sorprendente facilità, i peli diventati biondi sulle braccia. Verso sera, ripulitosi dal sale, lo trovavi a destreggiarsi tra i tavolini del ristorante “L’Aragosta” con vista sul mare, annesso all’omonimo lido a gestione familiare.
Anche quel giorno volgeva a termine e il ragazzo, come ogni sera, avrebbe dovuto chiudere tutti gli ombrelloni e ritirare le sdraio sul lungomare. Si accinse in direzione di queste ultime, a qualche metro di distanza dei turisti scattavano delle foto al tramonto. Il sole rosso come una pesca tingeva coi suoi raggi il mare dove si stava immergendo rapidamente, mentre uno dei gabbiani fuggiva portando nel becco i rimasugli di uno dei tanti pesci contesi durante il giorno, seguito dai versi dei suoi compagni.
Il ragazzo, distratto dai gabbiani, si fermò un attimo a osservare i riflessi dorati sulla superficie dell’acqua, la fresca brezza marina a quell’ora era solitamente accompagnata da un silenzio raro su quella spiaggia durante il giorno. Fece qualche passo nella sabbia e si chinò per trascinare la prima sdraio, quando vide brillare qualcosa sotto alla plastica ancora calda. Pensò a un gioiello, le signore erano solite perdere ogni sorta di oggetto vista la quantità di cose che si trascinavano nelle borse. Con delusione si accorse invece che si trattava solo di una bottiglia. Non che gli cambiasse molto in realtà, il bidone della spazzatura era proprio accanto alla scrivania degli oggetti smarriti del resto. Estrasse quindi la bottiglia dalla sabbia e la poggiò distrattamente sulla sdraio, proseguendo nel suo lavoro. In tutto quella sera trovò anche un orecchino, un soldatino di plastica e una fede nuziale, persa per sbaglio o nascosta maldestramente da qualche frequentatore del lido.
Si accinse quindi a riporre tutto al proprio posto, e quando le sdraio furono ben assicurate assieme agli ombrelloni e il bottino riparato in un cassetto, prese la bottiglia per gettarla nel bidone del vetro. Fu allora che poté osservare meglio quello che aveva tra le mani. Aveva un colore raro per quella zona, era infatti di un intenso blu cobalto e non recava alcuna etichetta. Era chiusa da un tappo dello stesso colore e materiale, sferico, probabilmente avvitato. Pensò subito a qualche nuova trovata dei lidi concorrenti, l’estate precedente non faceva che trovare ventagli di carta con scritte a caratteri cubitali. Rigirò quindi la bottiglia per controllare se fosse rimasto qualche indizio, qualche pezzetto dell’etichetta che si era probabilmente staccata con la sabbia, ma la bottiglia era perfettamente liscia. Sorpreso la scrutò meglio e gli parve di intravedere una sagoma scura. Forse era un messaggio in bottiglia. Forse aveva appena rovinato il gioco di qualche bambino, magari uno di quelli che si inseguiva giusto qualche ora prima spruzzandosi acqua addosso. Fece dietrofront verso il cassetto degli oggetti smarriti, ma per sicurezza decise di controllare il contenuto.
Il tappo era ben avvitato, probabilmente dopotutto non era opera di uno dei bambini, si sedette su un grosso ceppo ornamentale e fece un po’ più di forza. Aveva paura di rompere la bottiglia ma pareva chiusa ermeticamente. Si avviò verso il bagnasciuga per provare a ripulirla da qualche granello di sabbia che avrebbe potuto ostruirne l’apertura, quand’ecco che questa con uno scatto secco si sbloccò. Il ragazzo svitò velocemente il tappo e capovolse la bottiglia per farne fuoriuscire il contenuto, ma non c’era nessun foglietto di carta. Pensò subito che si fosse sbriciolato perché invece fuoriuscì una nuvola polverosa e dorata, ma questa anziché cadere e disperdersi continuò ad espandersi diventando sempre più fitta. Sorpreso, l’inserviente tentò di richiuderla. Non riuscì a non tossire e la polvere che ormai lo aveva quasi circondato completamente lo costrinse a socchiudere gli occhi. A malapena fece in tempo ad accorgersi del bagliore dorato che si era raggrumato in una strana forma. Erano capelli, ne era sicuro. Capelli dorati come quella polvere, stretti da un tessuto altrettanto luccicante, ma rosa. I capelli si mossero, una voce provenne da sotto quella strana capigliatura, come volta ad attrarre l’attenzione del giovane che fece un paio di passi indietro. La polvere si diradò. I capelli appartenevano dopotutto a una ragazza. Una giovane ragazza bionda vestita in abiti orientaleggianti. Stupito, l’inserviente si guardò attorno per capire da dove spuntasse la ragazza, ma non c’era traccia di impronte sulla sabbia che portassero a lui tranne le sue.
Due occhioni nocciola si fissarono su di lui pronunciando strane parole.
“Mi dispiace, ma non capisco. Sei ospite di questo lido?” Rispose confuso.
La giovane sospirò. Sistemò una piega che aveva sugli ampi pantaloni di seta che indossava e disse:
“Sono il genio della bottiglia che hai aperto, esprimi un desiderio e verrà realizzato.”
Il ragazzo osservò la bottiglia, interdetto. Il genio in bottiglia non l’aveva considerato, per quello si sarebbe aspettato una lampada. Era un bel cruccio, anche perché a minuti sarebbe dovuto andare a cambiarsi per servire al ristorante “l’Aragosta”. Dalla sala il cuoco lanciò un’occhiata distratta alle due figure rimaste le sole ancora in piedi sulla sabbia.
“Mi spiace ma credo proprio di non avere tempo adesso. Devo correre dentro a fare una doccia e mettere qualcosa sotto ai denti, ci vediamo!”
Le sorrise e si avviò verso le scale del lido. Fece per appoggiarsi al corrimano quando si accorse di avere ancora la bottiglia stretta in pugno, si girò. Ma così come era apparsa quella strana ragazza era svanita nel nulla. Si chiese se non avesse preso troppo sole e corse alla sua stanza, dove si buttò a capofitto sotto la doccia. Una ventina di minuti dopo era già nella sala del ristorante e pieno com’era di ordinazioni da ricordare fece presto a dimenticarsi di quello strano incontro.
A fine turno riuscì finalmente a mettere qualcosa sotto ai denti: prese una fetta di pizza e la divorò guardando verso il mare. Non c’era nemmeno la luna in cielo e le luci della sala contrastavano col buio e il freddo della sabbia.
Si trascinò tranquillo verso la sua stanza. Era esausto e non vedeva l’ora di potersi sdraiare nel suo letto. Come aprì la porta nemmeno si preoccupò di accendere la luce. Andò dritto in bagno e datosi una rinfrescata si mise una maglietta più comoda e tolse i pantaloni. Non riusciva a trovare le ciabatte, ma tastando per terra, accanto ai panni impregnati di sudore della giornata appena passata, inciampò invece nella bottiglia di vetro che aveva trovato qualche ora prima. Stranamente non si era rotta ma in compenso aveva fatto un gran fracasso. La rigirò tra le dita e si accorse che aveva di nuovo il tappo. Chissà che fine aveva fatto quella ragazza. Provò distrattamente a svitarlo di nuovo e stavolta venne via con facilità. Non ci fu nessuna nuvola di fumo dorato. Ci appoggiò sopra l’occhio. Era vuota a tutti gli effetti. La appoggiò sul comodino, pronto a infilarsi sotto alle lenzuola.
“Hai deciso che desiderio esprimere adesso?”
Una voce femminile aveva sussurrato queste parole a un palmo dal suo orecchio. Il ragazzo lanciò un urlo.
“Come sei entrata qui dentro?”
“Tu mi ci hai portato, ero nella bottiglia.”
“Eri nella cosa?”
“Nella bottiglia. Hai deciso che desiderio vorresti esprimere?”
In penombra la voce quasi inespressiva ma un po’ stizzita della ragazza contrastava col riflesso appena accennato e iridescente dei suoi vestiti. Sembrava avere freddo con una fascia striminzita attorno al seno e dei pantaloni di seta. Il ragazzo rimase incantato per un attimo dal suono dei pendagli che adornavano la sagoma di fronte a lui.
“Cosa hai detto che sei?”
Disse lui con un filo di voce.
“Sono un genio in bottiglia. Esaudisco desideri. Posso realizzare qualunque cosa tu voglia, basta che tu me lo dica.”
Il ragazzo si mise a riflettere.
“Mi spiace ma non mi viene in mente nulla” – Aveva la tendenza a scusarsi spesso. – “Temo che tu debba chiedere a qualcun altro.”
E le sorrise.
“Possibile che tu non abbia proprio alcun desiderio?”
“Temo proprio di no in effetti. Sono felice così.”
Nella penombra si poteva sentire il ticchettio delle scarpe della giovane che battevano contro il pavimento.
“Sei sicuro di quello che dici?”
“Sono sicuro. Ora, con permesso, vorrei dormire. Mi aspetta una giornata pesante domani.”
Senza aspettare risposta, di lui non rimase che un fagotto e un ciuffo di boccoli ribelli che spuntavano da sotto le lenzuola.
Il ticchettio di scarpe rallentò fino a cessare. Fu presto sostituito dal frinire delle cicale.