Senza Cuore

Ti ha mai fatto male il cuore per amore?
Sai, quando lo senti stringersi, stritolarsi, dimenarsi, urlarti in gola. Così.
A me succede spesso. Più spesso di quanto dovrebbe.

Tutto è iniziato quella volta, tanto tempo fa. Non avevo che quindici anni.
Ero a casa, da sola, e lo vidi passare.

Ebbi un soffio al cuore, uno di troppo. Andammo dai medici, e i miei mi guardarono con quello sguardo compassionevole… quello che lo sai che c’è qualcosa che non va e che sei spacciato ma dirtelo è troppo doloroso. Alla fine sputarono il rospo.

Il mio cuore era guasto, non funzionava bene e me ne serviva uno nuovo.

Passai settimane su settimane a sperare, a pregare, sì, che qualcuno morisse in un incidente cosicché io potessi avere il mio cuore. Gettavo puntine sulla strada e bucce di banana fuori dal cestino nella speranza che qualcuno inciampasse e sbattesse così forte la testa da andare in coma e non tornare più.
Sono una persona orribile vero?
Una persona non dovrebbe mai augurare una cosa del genere a qualcun altro, eppure, ogni ragazza che vedevo passare per strada coi suoi amici, sorridente, spensierata, speravo che un pirata della strada la travolgesse e portasse a me il suo cuore un po’ come il cacciatore avrebbe dovuto fare con biancaneve. Le sue budella sparse quel tanto che bastava perché io potessi rubarle il futuro. Sono io la cattiva.
Ma a differenza della regina io non riesco neanche a guardarmi allo specchio.

È così un delitto desiderare di vivere?
E quando è necessario che qualcuno muoia perché tu possa sopravvivere?

Forse era il mio cuore guasto a rendermi così cattiva.

Tra una preghiera di morte e l’altra lo rividi. Stava portando dei fiori nella stanza accanto alla mia in ospedale. Nessuno mi ha mai portato dei fiori. Profumavano tutto il corridoio, mi avevano fatto volgere lo sguardo, erano bellissimi, ma lui di più. Era un raggio di sole, un angelo disceso nella desolazione della mia vita, anche se non lo sapeva.

Quando se ne andò sbirciai chi fosse la persona fortunata nella stanza accanto. Aveva la testa completamente fasciata. I fiori accanto al suo letto la facevano sembrare una principessa addormentata, avvolta da bianche lenzuola.
Chiesi a un’infermiera cosa le fosse successo, scuotendo la testa rispose che era stato un brutto affare, una svista. Era scivolata.
Mi brillarono gli occhi.

Era fatta, era lei. Poteva essere stata una delle mie bucce di banana?
Presi il vizio di sbirciare spesso nella sua stanza, languidamente. Qualche volta vidi qualche parente, qualche amico, era piena di amici. Lasciavano anche delle lettere che quando non c’era nessuno leggevo avidamente.Imparai i nomi dei suoi amici, si chiamava Tiziana. Un brutto nome per una come lei. Ma Tiziana aveva tutto, tutto quello che io non avevo mai avuto.

Ritornò quel ragazzo. Ah, quel ragazzo, le scriveva lettere di amore. Quanto le mancava, era così dolce. Volevo anch’io essere amata così. Lo osservavo di nascosto dalla mia stanzetta mentre le teneva la mano per ore. Nessuno mi teneva la mano per ore tranne mia madre, e ormai neanche tanto nemmeno lei. Stavo male da talmente tanto tempo ormai.

Lui aveva un nome bellissimo, musicale semplice, anche se un po’ banale. Sarebbe stato sicuramente meglio con me. Io non l’avrei mai fatto aspettare per ore sotto casa come lei. Non avrei mai litigato per colpa di una mia amica visto che non ne avevo. Ero meglio io.

A poco a poco spostai la mia postazione di osservazione alla macchinetta del caffé. Stavo per ore con un caffé freddo in mano che non potevo bere, ma che faceva tanta scena. Ogni tanto lanciavo sguardi languidi ai malati che passavano dalla corsia, avranno loro il mio cuore?

Un giorno, mentre ero intenta nella mia attività preferita mi si sedette accanto proprio quel ragazzo. Per fortuna avevo i jeans perché ero uscita a fare una passeggiata, la mia ronda quotidiana con le puntine. Fu lui a rivolgermi la parola, cogliendomi di sorpresa. Mi chiese come facessi io ad affrontare la cosa. Mentii, riempiendolo di frasi smielate su quanto bisogna essere forti in queste situazioni. Io sono spaventata a morte. Della morte. Tutti ma non io, ti prego.

Approfittando di dettagli aggrovigliati tra le parole delle lettere per Tiziana feci in modo di piacergli. A 15 anni imitare qualcun altro è quasi la norma, io lo portai a un nuovo livello. Volevo sostituirmi a lei. Totalmente, per quanto intrappolata tra le mura dell’ospedale.

Ancora nessuno era morto per donarmi il suo cuore, così il mio nuovo hobby era cercare di rubarlo a quel ragazzo.

A volte era uno sguardo, a volte un gesto, a poco a poco stavo riuscendo nel mio intento. Era inebriante vedere quello sguardo gentile posarsi su di me, quante volte lo avevo sognato. Provai a sfiorargli la mano, se la lasciò prendere. Provai ad avvicinarmi di più, sempre di più. All’ultimo, quando mancavano pochi centimetri, si ritrasse, accampando delle ridicole frasi di scuse su quanto fosse ancora innnamoratissimo di quella ragazza nella stanza accanto alla mia. Se ne andò arrossendo.

Mortificata, non riuscivo a togliermi quella cocente umiliazione dalla testa, alla sera mi introdussi nella stanza accanto, non c’era nessuno per i corridoi tanto. Me la presi con quel corpo inerme che giaceva sul letto. Era tutta colpa sua! Stava lì e dormiva e senza fare niente aveva tutto. Tutto quello che io non avevo. Appallottolai le sue stupide lettere, tanto non le avrebbe mai lette. diedi un calcio ai macchinari attorno al letto. Scattò un qualche allarme. Ops. Poi ne scattò un altro. Qualcosa non stava funzionando. Non sapevo bene cosa fare per cui stabilii che l’opzione migliore fosse di darsela a gambe nel mio letto. Appena in tempo perché arrivarono delle infermiere correndo. Urlavano le solite strane sigle, la portarono via. Poi arrivò la chiamata. Era arrivato un cuore. Un cuore per me. Ora. Arrivarono anche i miei genitori, di corsa, parlando coi medici. Era il momento. Ce l’avevo fatta.

Mi prepararono per l’operazione e poi mi addormentarono in un sonno di ore durato un attimo. Un dolore al petto. Volti sorridenti mi accolsero quando riaprii gli occhi. Ce l’avevo veramente fatta.

Per tutto il resto della degenza non vidi più passare quel ragazzo per andare a trovare Tiziana. Tanto meglio. Dopo quello che avevo fatto non l’avrebbe comunque più trovata.

Incastrata completamente a letto ebbi modo di riflettere. Ok, le puntine e le bucce di banana erano stati scherzi stupidi. Se qualcuno ci si fosse sbucciato un ginocchio ok, la colpa era in parte mia ma soprattutto della loro distrazione. Ma quello che avevo fatto quella sera? Poteva essere colpa di qualcun altro e non mia? Poteva? Ero diventata un’assassina quindi? Ero diventata la cattiva della storia che speravo tanto di diventare?

Ma un’assassina come me se lo meritava di vivere al posto della sua vittima?

Ero assalita, tormentata da questi terribili dubbi. Cosa avevo fatto? Meritavo io di morire. Quel ragazzo tanto non era innamorato di me, ma di lei. Che enorme stupida.

Quando finalmente potei riprendere a muovere i primi passi con le mie gambe, sbirciai di nuovo nella stanza accanto. C’era una silhouette magra e composta seduta sul letto, intenta a mandar giù l’insipido cibo dell’ospedale. Era una bella ragazza, e aveva una cicatrice sulla testa. Mi cadde di mano il caffè freddo, rovesciandosi ai piedi del letto di Tiziana. Era lei. Era viva. Strabuzzai gli occhi. Ma come? Com’era possibile? Non era morta, ma viva e vegeta davanti a me! Mi defilai piena di gioia e sollievo.

Passarono le settimane e tornai a scuola. Avevo deciso che avrei fatto buon uso di quel cuore che mi era stato donato da chissà chi. Cercai di stringere amicizia coi compagni che non avevo potuto avere prima. Andare a scuola era fantastico. Ero viva. Era fantastico.

Ripassai in seguito a fare una visita di controllo, qualche settimana dopo. Mi infilai per curiosità a rivedere la mia vecchia stanza. Ora c’era una vecchietta sul mio letto, guardava fuori dalla finestra. Nella stanza accanto, Tiziana stava mettendo via le sue cose. Non so perché, ma la approcciai. Mi disse che finalmente tornava a casa anche lei. Aveva pianto. Se ne andò in fretta. Curiosai ancora un attimo per annusare quei fiori che ormai stavano appassendo. Trovai sul comodino un giornale aperto. Era umido. Diedi una rapida lettura, incuriosita. C’era la foto di un corpo riverso sulla strada e un’auto distrutta.

Qualcuno era inciampato sul serio su una stupida, patetica buccia di banana. Era quel ragazzo, ed era finito sotto a un furgone. Avevano provato a salvarlo per ore, ma nonostante fosse accaduto sotto all’ospedale non c’era stato niente da fare.

Era colpa mia stavolta, e per davvero. Anzi, lo era sempre stata. E io gli avevo rubato il cuore, ma non nel modo che avevo sperato. Il primo istinto fu di vomitare fuori quel cuore. Ma mi portai le mani alla bocca. Era troppo pure per me.
Non lo volevo così, il suo cuore, tutti ma non lui.

E nonostante tutto sono una codarda, ho paura della morte. Così prendo i farmaci antirigetto, faccio la brava, ma ogni tanto lo sento, quel sussulto particolare. Quello lì…

Ti ha mai fatto male il cuore per amore?
Sai, quando lo senti stringersi, stritolarsi, dimenarsi, urlarti in gola. Così.
A me succede spesso. Più spesso di quanto dovrebbe.

Succede, quando non si è abituati ad avere un cuore che non ci appartiene.

Sono un mostro.

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